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Alla scoperta della Fondazione Della Monica e dei suoi pazienti, affetti da malattie della memoria
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Alla scoperta della Fondazione Della Monica e dei suoi pazienti, affetti da malattie della memoria

CAVA DE’ TIRRENI (SA). Era un giorno d’inverno la prima volta che ho sentito parlare della Fondazione Antonio Della Monica e dei loro cuoricini, una serata che non avevo potuto seguire per intero, ma dalla quale avevo portato via una parola: emozioni.

Sono passati mesi da quei pochi minuti, da quelle sensazioni “incompiute”, ma il tempo è cosa relativa solo alla fretta degli uomini per cui, se al contrario sai aspettare, tutto ti ritorna e tutto ti viene spiegato.

Ci ritroviamo nella sede della Fondazione Della Monica su Viale Marconi, accolte da Doriana Nola, nipote del fondatore Antonio Della Monica, commerciante di tessuti, uomo che ha vissuto la durezza della guerra e per questo non è rimasto insensibile alle necessità degli anziani e già nel 2001 fece in modo che i locali di sua proprietà ne divenissero luogo di riferimento.

Nel 2012 poi, in seguito alla malattia della moglie, affetta da Alzheimer, e alle cure che tutta la famiglia le dedicò, scattò la molla per creare un vero e proprio gruppo di lavoro, riassunto nel nome Caffè della Memoria.

La mattinata è davvero bella e il sole che ha accompagnato la nostra passeggiata per arrivare, non ci lascia neanche all’interno dei saloni ampi e luminosi. È un impatto bellissimo, che ti dà subito una sensazione di accoglienza e familiarità e non so se sono più curiosa di sapere cosa mi racconterà Doriana o di guardare quello che fa il gruppetto di anziani seduti ad un tavolo in fondo. Nel dubbio, mi siedo di fronte a loro: così, mentre ascolto, posso curiosare.

L'incontro con Doriana, la responsabile del progetto, ha un unico obiettivo

L'obiettivo del nostro incontro è uno solo: fare in modo che tutto quel lavoro, quella passione che viene profusa all’interno di questi spazi, esca un pochino fuori e in tanti possano avere la giusta informazione su ciò che davvero viene realizzato e sulla grande offerta al territorio che questa struttura offre.

Il racconto di Doriana

Il racconto di Doriana parte dalla malattia, questo morbo che comincia a consumare la memoria e cancella i ricordi, rendendo, chi ne soffre, un elemento che col tempo rischia sempre più di rimanere un estraneo all’interno del nucleo familiare. Una malattia terribile, perché, apparentemente, taglia i legami tra chi la subisce e chi gli sta accanto: un rifiuto che sembra voler dividere mondi che fino a poco prima avevano condiviso tutto.

Ma la scienza ha fatto grandi passi avanti nell’ambito di questa malattia. Oggi si è scoperto che molti dei soggetti colpiti da Alzheimer hanno avuto in passato problemi legati all’apparato intestinale e digestivo e soprattutto che, tra le cose che la malattia cancella, non sono previste le emozioni.

Emozioni è la parola che mi è rimasta impressa

Noi uomini abbiamo bisogno dei nostri riferimenti scientifici, abbiamo necessità di classificare i nostri comportamenti, le nostre leggi, ma alla fine tutte quelle cose possono risultare anche assolutamente inutili. Forse questa malattia così sconvolgente, così “cattiva” da privarci di abbracci e riconoscimenti, un regalo davvero ce lo fa: ci restituisce tutte le emozioni che in quelle menti “distratte” si sono perse, ma che sono rimaste intatte nei loro cuori.

E noi cosa vogliamo e possiamo fare di tutte quelle emozioni?

È da loro che bisogna cominciare a costruire le nuove vite dei malati di Alzheimer. Le parole di Doriana arrivano tra un misto dei suoi ricordi personali con la nonna e le vite che ogni giorno vede intorno a sé. Parla dei successi che hanno ottenuto e gli occhi si accendono di una luce diversa.

Sapete quanto è bello fare le cose che ti piacciono e vedere che portano miglioramenti nelle vite degli altri?

Queste le splendide parole di Doriana quando racconta la sua esperienza con il “Caffè della Memoria”.

Tuttavia, la stessa luce che la illumina, si spegne quando partono le mie domande che sembrano quasi inutili, ma che inutili non sono!

Come mai, a fronte di un aumento dei malati e di mancanze di strutture simili sul territorio, l’iniziativa è così poco conosciuta? Come mai ci sono così pochi ospiti?

Da Pagani a Battipaglia non c’è praticamente nulla che si possa paragonare all’iniziativa che la Fondazione offre.

Oggi il loro programma prevede incontri per cinque giorni a settimana, dalle 9,00 alle 12,00 con servizio pulmino incluso, per un contributo che dire contenuta è riduttivo.

Ma si potrebbe fare ancora di più, come allungare i tempi di accoglienza.

Mi rendo conto che si parte davvero da molto lontano!

Enza Attanasio, che mi ha accompagnata, comincia a raccontare la sua di esperienza, di quando hanno dovuto fare i giri delle strutture che potessero accogliere persone con problemi. E mi si stringe il cuore. Spesso, soprattutto per i parenti, l’unica soluzione, o forse quella più comoda, è ricorrere ad una terapia esclusivamente farmacologica che porta ad imbottire il malato di farmaci, che non fanno altro che aumentare le problematiche neurologiche, ma che annientano la volontà e di conseguenza “i fastidi” che possono procurare. Quando manca una formazione specifica sulla patologia, quando la situazione richiede un impegno continuo, si arriva ad allontanare il malato dall’ambiente familiare privandolo della sua dignità anche nelle fasi precoci della malattia.

Mi ritrovo a pensare un sacco di cose:

Alla lotta di Rita Francese contro chi voleva fare la stessa cosa a suo figlio autistico, alla querelle con il DJ Fabo, che pochi giorni fa ha scelto la morte assistita, alla nostra capacità di vomitare parole sulla moralità, ma solo quando è fuori dalle nostre case. Decidere di far morire una persona è peccato, è una scelta forse impossibile per la nostra coscienza di cristiani, ma quanto c’è di morale nel rendere queste persone, incapaci ormai di decidere da soli, delle larve umane? Cancellare, oltre alla loro memoria, anche la loro dignità?

Sapete, non mi metto su nessun piedistallo e nessuna delle persone vicine a me lo fa, ve lo posso garantire. Queste che si pongono sono domande, mentre arriva una bella signora con la sua badante e un cagnolino bianco che la segue. Hanno entrambe un bel sorriso, è serena chi accudisce e chi viene accudita e quel batuffolo bianco fa parte di quel gruppo in qualità di essere che apparteneva ad un passato felice. Non importa che non abbia un nome fisso, che sia Bastardino o Piccolino non fa nessuna differenza: è un essere a cui la signora è affezionata e fa ancora parte della sua vita!

Gli altri al tavolo intanto fanno conversazione! Si. Ho notato come ci sia una signora molto spigliata che parla da quando siamo arrivate, anche perché è ancora l’ora dell’accoglienza e la prima cosa che fanno è leggere i giornali per dar loro una posizione spazio temporale, ma da qualche minuto la sua vicina, che fino ad allora era rimasta quasi in disparte, ha cominciato ad annuire con la testa e a mormorare delle parole di risposta. È una cosa talmente banale per noi, ma quel piccolo cambiamento, quella relazione che sono riuscite ad instaurare attraverso mondi completamente lontani, è un successo. Doriana guarda il mio viso stupito e mi racconta che ogni settimana per loro ha un tema e che in questa corrente, essendoci stato l’8 marzo, si è parlato della donna.

“Non puoi credere che discussione hanno messo in piedi ieri! Le donne si difendevano dicendo che loro da sole possono fare tutto, che gli uomini servono solo per i figli, che sono forti… insomma si sono quasi accapigliati per difendere le loro idee. E noi siamo rimaste esterrefatte, ma in maniera positiva.”

E poi mi dice come continua la giornata, con lavori di collage, di cucito, con le carte per risvegliare le attività cognitive, e poi giardinaggio e laboratori di cucina, sempre per stimolare ricordi, manualità e socialità.

Arriva poi la frase auto mutuo aiuto, che rappresenta uno dei passaggi fondamentali su cui basano il loro lavoro qui alla Fondazione: gli incontri con la famiglia. La collaborazione tra terapisti, familiari e badanti è una condizione indispensabile. Ritornando al concetto precedente, cioè nel non voler giudicare, ci si rende assolutamente conto che la gestione in casa di una persona malata non è semplice, perché le attenzioni devono essere continue, per cui l’apporto anche psicologico diventa un ulteriore lato positivo a cui possono far riferimento i nuclei familiari che ogni giorno fanno i conti con questo problema. Ma quello che soprattutto devono fare in questi incontri, è scoprire i miglioramenti che vengono raggiunti e le risposte che possono avere di fronte a comportamenti che loro spesso non sanno gestire. Uno di questi è l’aggressività.

Chi si lamenta che le persone affette da Alzheimer diventano aggressive spesso non sa che ciò che deve cambiare è l’atteggiamento nei loro confronti. Se noi gli chiediamo di fare una cosa di cui loro non riconoscono né l’urgenza né tantomeno la necessità, come possiamo pensare che l’accettino tranquillamente? E arrabbiarsi con loro non fa altro che scatenare una reazione di difesa che spesso termina con urla e aggressività. Bisogna ricordare, noi che possiamo ancora farlo, che anche con i bambini spesso dobbiamo avere più pazienza di quanta crediamo di averne e loro, in quelle condizioni, non sono altro che dei bambini, che vanno distratti dal momentaneo capriccio.

Un esempio pratico. Un esempio esemplare.

Come una regia prevista, mentre Doriana ci fa questi esempi, vedo una delle assistenti che si avvicina con una bella signora in maglioncino rosso. Vanno verso la porta d’uscita e non è ancora finita la seduta. Ma sono entrambe calme. Quando stanno per avvicinarsi, la dottoressa dice:

Ti faccio conoscere queste nuove persone.

Mi alzo subito in piedi e le porgo la mano e le dico il mio nome: Paola

Paola come?

Io aggiungo il mio cognome e lei mi ripete il suo: Maria

Pochi minuti, forse meno. Ci ha regalato un sorriso, ne ha ricevuto in cambio e senza nessun urlo o capriccio, è ritornata verso il gruppo, dimenticando anche perché era arrivata così vicina alla porta.

Adesso è il momento della musica. Si spostano tutti e non li vediamo, ma arrivano canzoni da un passato che a me ricorda l’adolescenza e che per loro era gioventù piena.

Torniamo con Doriana ai tasti dolenti della burocrazia.

Le Fondazioni nascono perché alle spalle hanno dei fondi a cui attingere e che danno la possibilità di attuare progetti. Ma i fondi vengono anche rafforzati da enti, altri benefattori, cosa che invece a questa Fondazione specifica non accade. Loro vivono delle rendite che gli appartamenti della struttura riescono a realizzare. E niente altro. Per cui risponde alla mia tacita domanda:

“Una delle soluzioni possibili sarebbe ricevere un riconoscimento giuridico, perché questo ci permetterebbe di partecipare a bandi per poter ottenere fondi e rendere ancora più completo il nostro servizio.”

La cosa non mi sembra troppo difficile, anche perché, fondamentalmente, sono molto ottimista.

Basterebbe a volte, per capire un po’ di più ciò che viene richiesto, andare a visitare, a guardare, a scoprire cosa c’è dietro delle semplici parole scritte su una domanda, per evitare che venga troppo velocemente rispedita al mittente. E questo messaggio lo lascio e lo lancio come un invito!

Ma per fortuna i miei pensieri vengono di nuovo interrotti: un gentile signore in maglioncino giallo ocra, si avvicina con la sua assistente e un vassoio in mano. Ci ha preparato il caffè. Lo prendo con gioia anche se è zuccherato, ma mi sembra davvero uno dei migliori che mi sia stato offerto.

“Caffè della Memoria”: perchè questo nome al progetto?

Torna la denominazione Caffè della Memoria. Il gesto del caffè, l’andare indietro attraverso odori, abitudini consuete che si ripetono ogni giorno e che scavano in quel pozzo melmoso che è diventata la loro mente e ne tirano fuori ciò che si è impresso più profondamente.

Ma perché è così difficile vedere quante cose belle ancora ci sono dentro tutti questi giovani vecchietti?

La musica continua, sono molto distratta da lei e Doriana capisce che sono curiosa di guardarli ancora e ci porta nella zona dedicata ai video e alla musica. E li trovo che ballano! Sono meravigliosi. Ballano con la loro dottoressa, con il vecchietto vicino, sono i passi di un’altra generazione, sono i loro passi, quelli delle balere, certo non delle discoteche rumorose.

Vedo lavagne piene di disegni e tavoli dove svolgono le loro attività, divani che accolgono quelli che non vogliono scendere in pista. E alla parete i volti di giovani Alberto Sordi, Mina, Sofia Loren e le loro voci che ricordano quei nomi… ricordano. È questa la parola chiave.

Ci sono dei ricordi dentro ognuno di loro, c’è vita dentro quei corpi che ancora cercano di avere contatti con gli altri, c’è voglia di essere ancora partecipi di una vita sociale e non di essere gettati come calzini vecchi sul fondo di un armadio.

Il progetto “Caffè della memoria” non finisce qui…

Torniamo a sedere perché il racconto di Doriana ancora continua, lei non è ancora arrivata alla fine del suo progetto, anzi questi successi sono solo punti di partenza.

Viene fuori la parola cervello felice, che è poi il titolo di un progetto che racchiude in sé tutto quanto loro hanno studiato e ciò che hanno scoperto ogni giorno vivendo con tutti questi malati.

Fondamentale è avere una corretta alimentazione e uno dei desideri della Fondazione è quello di poter offrire anche il pasto ai propri ospiti e allungare il tempo fino alle 17 del pomeriggio. Ovviamente si prevede anche un corso di nutrizione per migliorare l’informazione sull’alimentazione e diminuire le problematiche dovute alle infiammazioni dell’intestino.

Sarebbe utilissimo organizzare un corso di ginnastica per la mente con quindici incontri della durata di novanta minuti ognuno, rivolto a persone sane che vogliono migliorare le proprie qualità cognitive, ma anche a coloro che stanno avendo i primi sintomi e fare quindi una sorta di prevenzione.

Questo passaggio mi sembra un ulteriore opportunità per la comunità, per approfittare di quanto potrebbe risultare utile la nuova iniziativa.

Una collaborazione tra medici di base, tra istituzioni e chi valuta le problematiche del territorio, e noi a Cava abbiamo l’Osservatorio che funziona molto bene, potrebbe fungere come anello di congiunzione tra chi ha un problema e chi offre una soluzione.

Collaborazione, visibilità, aiuto: con queste basi si potrà davvero andare lontano.

Da quanto tempo celebriamo la famosa frase “prevenire è meglio che curare”? E più si sa di ogni patologia, meglio si affrontano i problemi ad esse collegate.

Ma se pure c’è tanto da fare, quello che vedo, che abbiamo visto ci lascia piene di soddisfazioni e niente potrà cambiare una così bella giornata, piena di scoperte, di nuovi piccoli dettagli che ci hanno davvero arricchite e che consigliamo di verificare a quanti vorranno constatarlo con esperienze dirette.

Alla fine del nostro incontro ritorniamo alle emozioni

La loro lezione è finita e anche forse il nostro incontro. La prima signora che avevo visto brillantemente tenere viva la conversazione al tavolo al mattino, si avvia a prendere il cappotto per andar via e con occhi luminosi dice:

È stata proprio una bella giornata. Ci vuole un po’ di fantasia per le cose belle

Io resto a guardarla. La semplicità delle sue parole è sconvolgente, la profondità altrettanto.

Potrei aggiungere altro alla nostra visita, ma preferisco lasciarvi così.

In fondo, se ricordate, eravamo partiti da quella piccola parola “emozioni”. Abbiamo fatto un giro lungo, ma siamo tornati di nuovo lì.

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